Debriefing, domande chiuse e Metamodello della PNL nella Formazione Esperienziale

11/01/2013 § 4 commenti

Una delle buone pratiche della formazione esperienziale, per lo meno per la mia esperienza e per quanto ho condiviso in questi anni con diversi colleghi, è quella di fare domande aperte. Le domande chiuse, quelle la cui risposta è  o no per intendersi, sono relegate in secondo piano, anche perché non favoriscono l’emergere delle opinioni dei partecipanti ma lasciano solo lo spazio a risposte puntuali. Sì o no, appunto.

Figura 1 – una fase del debriefing di un’attività

Vi sono però alcune domande che vale la pena di porre anche in modo chiuso, purché si adotti un sistema di risposta adeguato che permetta delle riflessioni che vadano al di là della risposta del singolo individuo, sistema che permetta in seguito di scavare agevolmente dietro il sì o no. La prima cosa è che la domanda chiusa, in effetti, non viene posta al singolo partecipante ma a tutto il gruppo, facendo si che il gruppo, inoltre, risponda tutto nello stesso momento. Un po’ come l’alzata di mano, mettiamola così (“chi è d’accordo alzi la mano…”).

L’alzata di mano, in realtà, espone “il giusto”, come dicono qui a Firenze. Nel senso che c’è chi la mano la alza ben visibile, chi appena appena, chi ha la mano monca… Ci sono sistemi più funzionali dell’alzata di mano e che permettono riflessioni più interessanti quando si sta facendo il debriefing di un’attività.
Chiaramente anche le domande devono essere ben poste per far nascere delle risposte, e degli scenari di discussione, che siano utili per la crescita del gruppo. E questo è il secondo punto.

In particolare, ci sono tre domande chiave. E le trovate qui di seguito:

  • “Durante l’attività, vi siete sentiti coinvolti?” cioè, gli altri membri del gruppo vi hanno fatto sentire parte dell’attività e conseguentemente parte del gruppo stesso? Eravate presi dall’attività o l’avete vissuta passivamente, giusto perché andava fatta?
  • “Durante l’attività, vi siete sentiti parte attiva?” cioè, avete partecipato attivamente alla risoluzione del problema o alle operazioni previste per portare a termine l’attività? Questa domanda differisce dalla precedente in quanto le persone possono sentirsi coinvolte, perché magari vengono interpellate o si sentono empaticamente parte di quanto accade, ma non fanno nulla attivamente o quasi.
  • “Durante l’attività, vi siete sentiti ascoltati?” cioè, gli altri membri del gruppo hanno posto attenzione alle vostre osservazioni, se ne avete fatte?

e a queste tre domande il gruppo può, anzi deve, rispondere in un  modo preciso. Non che la risposta sia predeterminata, intendiamoci, semplicemente la modalità di risposta è predeterminata. Vediamo come, con un semplice processo.
In primo luogo, far disporre le persone in cerchio:


Secondariamente, porre una delle tre domande e spiegare che se la risposta alla domanda è positiva, per il singolo, costui farà un passo avanti

Figura 2 – Caso “tutti sì” – quando le persone si vogliono particolarmente bene. Il cosiddetto gruppo “peace and love”.

se la risposta è negativa, costui farà un passo indietro

Figura 3 – caso “Tutti no” – caso preoccupante, visto il tenore delle domande poste. Il gruppo in questione sarebbe adeguatamente disfunzionale…

se la risposta è “non so” o “così-così”, semplicemente la persona resterà dove si trova.

Figura 4 – Caso “così-così” – se tutti rispondono in questo modo, c’è seriamente da interrogarsi sull’apatia del gruppo…

Chiaramente tutti i membri del gruppo devono rispondere contemporaneamente e difficilmente si avranno situazioni “pulite” come le tre precedenti (tutti sì, tutti no, tutti forse). Qualche volta, nei gruppi più maturi e dove la collaborazione è elevata, capiterà di trovare casi “tutti sì”, ma il più delle volte lo scenario che si presenterà sarà simile a questo:

Figura 5 – Caso di un gruppo dove le persone hanno differenti reazioni alla medesima domanda.

Finito il processo per la prima domanda, ripetere per le altre due. Possibilmente nella sequenza che indicata, dato che è posta in un ordine che va dalla mera sensazione di coinvolgimento espressa dall’individuo alla partecipazione diretta, anche verbale, ai lavori. Si tratta di un crescendo, insomma.
Perché aiuta fare domande chiuse e ottenere risposte in questo modo? Semplicemente perché il gruppo ha la possibilità di osservare nel concreto, sia visivamente che cinestesicamente per usare dei termini di PNL, le risposte dei propri compagni di gruppo.

Dalle risposte ottenute si passa poi ad indagare nel dettaglio. Ad esempio,  se una o più persone non si sono sentite ascoltate, si chiede loro di ricordare in quale momento non lo sono state, che cosa sia successo e che cosa invece avrebbero voluto che succedesse. Oppure si può chiedere loro di che cosa avrebbero avuto bisogno per sentirsi coinvolte. Oppure semplicemente, soprattutto se il gruppo è maturo ed è composto da persone che non hanno problemi ad esporsi, chiedere le impressioni in seguito alle tre domande chiave.

In particolare, in questa fase, tornano utili le domande caratteristiche del Metamodello della PNL, ad esempio:

  • Osservazione: “Non mi sono sentita ascoltata” – Domande di precisione del Metamodello: “chi non ti ha ascoltato?” o “in che momento non ti sei sentita ascoltata?” –  “quando ti senti ascoltata? come fai a dirlo?”
  • Osservazione: “Non mi sono sentito coinvolto” – Domande di precisione del Metamodello: “come fai a dire che non eri coinvolto (il focus qui è sulle sensazioni, quali sensazioni prova la persona “non coinvolta?”) –  “quando ti senti coinvolto?” – “cosa avresti potuto fare per farti coinvolgere? (o cosa avrebbero dovuto fare gli altri, anche)”

Domande di questo tipo non sono chiaramente da fare a raffica, altrimenti la persona si sente sottoposta ad un interrogatorio. L’obiettivo è aiutare i singoli partecipanti, e il gruppo di conseguenza, a riflettere su ciò che è accaduto cercando di risalire a momenti e comportamenti specifici, passando da una lamentela generica al riflettere su ciò le persone avrebbero voluto invece che accadesse.

Le osservazioni così emerse, nella fase successiva del debriefing
per tornare all’interno del ciclo di Kolb, vengono poi rielaborate nella fase di concettualizzazione astratta per poi essere messe in pratica nella sperimentazione attiva, cioè nella realtà di tutti i giorni (o nell’attività successiva, se siamo particolarmente bravi…). Ma, come diceva Ende nel suo splendido libro, questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta. Alla prossima.

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